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Tendenze e stile di vita
Come è nata e come si è evoluta la macinatura del caffè dal suo arrivo in Europa
La macinatura che consiste nella triturazione in frammenti più piccoli della materia prima è un passaggio essenziale per preparare un caffè di alta qualità; ma come sono cambiate le tecniche per macinare i chicchi?
Quando nel 1570 il caffè arrivò in Italia, l’unico metodo di preparazione noto era la bollitura praticata dai Turchi, che ne risaltava l’amarezza. Vennero poi elaborate nuove preparazioni, basate sull’utilizzo di generici macina spezie per la triturazione dei chicchi, i primi dispositivi ad oggi noti per quella funzione. Era il XVI secolo.
L’idea alla base del nuovo metodo era semplice: nelle botteghe avevano infatti compreso che macinando i chicchi tostati, avrebbero potuto ottenere miscele diverse, sulle quali far colare l’acqua bollente in modo da avere una bevanda più intensa e gustosa. La macinatura era il passaggio fondamentale: un diverso grado di polverizzazione comportava un risultato diverso in tazza.
Questo nuovo procedimento piacque e portò a un rapido incremento nel consumo del caffè in tutta Europa, specialmente in Francia e in Italia. La bevanda, i cui chicchi dovevano essere reperiti dall’estero e lavorati con estrema fatica, aveva come si può immaginare un costo piuttosto alto e, per questo, nel primo secolo di diffusione, venne considerata prerogativa dei ceti più abbienti. Ciononostante, le cosiddette botteghe del caffè continuarono a proliferare e l’evoluzione tecnica portò al raggiungimento di nuovi risultati che avrebbero, via via, reso più semplice la macinatura.
Nel 1799, Richard Dearmann, a Birmingham, inventò quello che viene considerato il primo vero modello di macinino: il fabbro inglese, in uno slancio creativo, pose rimedio ad alcuni dei problemi più comuni nell’utilizzo degli antichi macina spezie. Grazie ad una base più ampia e piana risolse contemporaneamente due problemi: diede al macinato il giusto spazio per posarsi e conferì stabilità allo strumento. Alla base della sua idea c’era un grande amore per il caffè: Dearmann aveva infatti capito che, perché la preparazione fosse eseguita correttamente, la miscela doveva avere una polvere uniforme e di media grossezza per non perdere l’intenso aroma che rendeva unico il prodotto. Il primo macinacaffè era ufficialmente nato e c’erano finalmente i giusti presupposti perché quella tecnica diventasse un vero e proprio business.
Dal punto di vista industriale, dopo il brevetto riconosciuto a Dearmann nel 1818, furono due i Paesi a contendersi la produzione dei preziosi macinacaffè: la Francia e l’Italia.
A Nord delle Alpi, i primi stabilimenti furono aperti dai fratelli Peugeot; in Italia, invece, il merito va ai fratelli Bertoldo che, dal 1894 trasformarono l’attività di famiglia in un impianto moderno, capace di produrre più di 1000 macinacaffè al giorno.
Da quel momento in poi l’evoluzione tecnica e l’avvento dell’elettricità hanno consentito un miglioramento costante di questo accessorio che, infatti, ai giorni nostri può persino essere incluso nelle macchine automatiche per caffè in chicchi, grazie alle quali al semplice tocco di un tasto, è possibile scegliere il livello di macinatura che si preferisce.
Sia a livello industriale che a livello domestico abbiamo un controllo sempre più forte sui mezzi tecnici che consentono di gustare un caffè di alto livello: non è sempre stato così e se oggi il caffè è una coccola per noi stessi, c’è stato un tempo in cui la macinatura di ogni singolo chicco era frutto di una grande fatica. Conoscere la storia di questi strumenti ci aiuta ad apprezzare le possibilità che abbiamo ma anche a capire come sfruttarle al meglio combinando saperi secolari a tecnologie ultramoderne.
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